Simpatico e famelico. Così i Grigi conobbero il Grifo

venerdì, 05 Agosto 2016

Perugia1Sei ottobre 1974, al “Mocca” va in scena Alessandria-Perugia 0-0. Baisi, stretto tra due avversari, tenta vanamente la via del gol (foto Zanini).

 

Domenica sera allo stadio “Renato Curi” si giocherà Perugia-Alessandria, gara valevole per il secondo turno della TimCup. Vi proponiamo questo originale intervento di Daniele Bolzani, che ricorda anche la prima volta tra l’Orso e il Grifone.

 

Al 23 febbraio 1975 risale il debutto ufficiale dell’Alessandria a Perugia; la squadra di Castelletti si presentò nel capoluogo umbro, quel giorno, con la missione di portare a casa un punto e, secondo quanto riferito il giorno dopo dalla «Stampa», ci andò parecchio vicina. I padroni di casa scesero in campo «nervosi e discontinui», si fecero parare un rigore da Pozzani e le loro iniziative vennero puntualmente «tamponate» dagli ospiti; ottime le prestazioni dei grigi Vanara, ex di turno, e Reja, al rientro dopo un’operazione al menisco. A pochi secondi dal termine, tuttavia, una punizione del capitano umbro Picella «spioveva in area, tesa, e portata dal vento; Sollier saltava, ma non toccava, Pozzani, fuori dai pali in tuffo, ne era ingannato». Uno a zero, quando il tempo e le energie non erano più sufficienti ad imbastire un’efficace azione d’attacco.

Perugia2Alessandria-Perugia 0-0. Manueli crossa al centro sperando di sorprendere i perugini (foto Zanini).

 

Nell’estate precedente, Alessandria e Perugia si erano mosse in maniera diametralmente opposta: sull’onda dell’entusiasmo per il ritorno in B e confidenti nei propri mezzi, i grigi avevano limitato il mercato a pochi ritocchi. I biancorossi, invece, avevano optato per un radicale restyling che non riguardava solamente il parco giocatori; reduci da un campionato deludente (la categoria era stata mantenuta vincendo, l’ultima giornata, sul campo di un Parma già al sicuro: la retrocessa Reggina recriminò a lungo, invano), si misero a ripensare i propri obiettivi.

renato-curi-744x444Renato Curi, morto in campo nello stadio che oggi porta il suo nome.

 

Dopo sette stagioni tra i cadetti che avevano acuito la rivalità con la Ternana, promossa in quel lasso di tempo in A per due volte, era in atto un vero e proprio cambiamento di mentalità nell’ambiente biancorosso: il Grifo, infatti, accolse l’Alessandria da campione d’inverno. I grigi, incostanti nei risultati e limitati nella rosa, galleggiavano poco sopra la zona retrocessione.

Vannini

Vannini, un infortunio patito nell’annata dell’imbattibilità lo costringerà al ritiro a trentun anni.

 

Il cambio di rotta perugino stimolò reportage sui principali quotidiani nazionali e, addirittura, interpretazioni accademiche. L’antropologo Tullio Seppilli premetteva all’«Unità» che «fino agli anni Cinquanta e Sessanta, il Perugia era un club calcistico normale»; vero, la sua storia ricorda quelle di tante altre provinciali, con il lento avvicinamento ai ranghi federali e la difficoltà a trovare un posto stabile nel professionismo. Il Perugia, prima del 1966, aveva affrontato faide interne (quella tra le componenti laica e religiosa degli associati si protrasse dalla fondazione al primo dopoguerra), si era approcciata al grande calcio con un certo candore (nel 1934, da debuttante in B, vinse brillantemente il girone di qualificazione, per poi soccombere al cospetto di compagini più esperte nelle finali per la promozione) e con risorse modeste (negli anni Trenta chiuse bottega per due volte in quattro anni, nel 1935 e nel 1939). Più volte, dopo il 1947, aveva mantenuto il posto in C «in rappresentanza dell’Umbria», per i criteri geopolitici stabiliti dal dirigente federale Artemio Franchi.Novellino

Seppilli descriveva poi la nascita di un Perugia desideroso di «interrompere l’altalena tra la C e la D […] in un contesto in cui crescevano grandi dinastie come Spagnoli e Buitoni, e diventavano multinazionali industrie come Perugina ed Emmesse. C’era chi si impegnava direttamente con la società sportiva e chi, guardando al calcio con più distacco, non faceva comunque mancare finanziamenti e aiuti». Ritornato in B nel 1966, dopo vent’anni di assenza e con la famiglia Spagnoli alla guida, il Perugia fu affidato nel 1974 al manager Franco D’Attoma, comproprietario dell’Emmesse, che premette con decisione l’acceleratore; ingaggiò il direttore sportivo del miracoloso Cesena di Lugaresi, Silvano Ramaccioni, che puntò su un allenatore della nuova generazione come Ilario Castagner. Questi, oltre a vantare una certa esperienza in tema di giovani calciatori, era stato allievo di quel Corrado Viciani che aveva costruito l’exploit ternano applicando i principi del «calcio totale» olandese; il trentatreenne Castagner svecchiò dunque il sistema di gioco biancorosso, ma si dimostrò maturo ed accorto non esitando a ricorrere, quando necessario, a tattiche meno spregiudicate. Presto sarebbe finito in archivio persino il campo Santa Giuliana: a tempo di record fu eretto il moderno stadio di Pian di Massiano, che con oltre ventimila posti doppiava, per capienza, il vecchio impianto.

Salvatore_Bagni,_Perugia_1979-1980Salvatore Bagni. Nell’estate del 1979 il presidente biancorosso Franco D’Attoma lanciò un’innovazione dirompente nel panorama calcistico nazionale, con la prima sponsorizzazione di maglia. Mai prima d’ora, in Italia, una casacca era stata “griffata” da un marchio commerciale: il Perugia fu la prima squadra a rompere questo tabù. Il logo del pastificio Ponte debuttò sulle divise biancorosse il 26 agosto, nel debutto stagionale in Coppa Italia; pur se l’accordo pubblicitario venne a lungo osteggiato dalla Federazione, sarà questo uno dei tasselli che porteranno nel 1981 alla liberalizzazione degli sponsor.

 

Un Perugia tutto nuovo, in vena d’imprese, che giunto nel massimo campionato si ritrovò immediatamente a lottare per l’Europa; che nel 1979 riscrisse la storia della Serie A chiudendo secondo ed imbattuto, cosa mai accaduta a nessuna squadra prima d’allora; che si guadagnò con naturalezza i galloni di «squadra simpatia», di bella favola di uomini venuti dal nulla per sfidare, e talvolta sottomettere, le grandi.

Associazione_Calcio_Perugia_1984-1985I Grifoni della stagione 1984-‘85, detentori del primato – tuttora in essere – del minor numero di sconfitte (una) in un torneo di serie B a venti squadre.

 

Ma anche un esempio di gestione d’impresa applicata al calcio: un Perugia «alla milanese» che, in fase di compravendita di giocatori, trattava con società blasonate senza complessi d’inferiorità; che allo scudetto ambiva per davvero, tanto da soffiare Paolo Rossi, nel 1979, ad almeno sei altre società, pagando un miliardo di lire al Vicenza per il prestito biennale; che dimostrò lungimiranza in materia di pubblicità, piazzando uno sponsor sulle maglie da gioco, all’altezza del petto: azione quasi sacrilega per l’epoca, compiuta con una certa arroganza se si pensa che le norme federali in merito vennero aggirate con un sotterfugio (l’apertura di un’azienda di abbigliamento sportivo con lo stesso marchio del pastificio-sponsor): in quel frangente l’immagine del club cominciò a incrinarsi, per deteriorarsi poi a causa del lungo processo allo staff medico per la morte del calciatore Renato Curi e del pesante coinvolgimento nei filoni del calcioscommesse del 1980 e del 1986.

Derby_dell'Umbria_-_Ternana-Perugia_8_marzo_1992Un momento del sentito derby dell’Umbria tra Perugia e Ternana, qui giocato nella stagione 1991-’92.

 

Conosciuti gli anni d’oro, il Perugia declinò: la seconda metà degli anni Ottanta fu quella, definita dal politologo Alessandro Campi, del «divorzio tra la città e la sua borghesia», perché nella squadra s’investì sempre meno; rispetto agli anni Sessanta e Settanta erano cambiate le classi dirigenti in città, ed era cambiato, soprattutto, il calcio. A riportare per qualche tempo il Grifo agli antichi fasti fu, a cavallo tra i due secoli, un imprenditore di Roma, Luciano Gaucci. Anni di baldoria per cui il calcio perugino ha pagato pesantemente, per buona parte dello scorso decennio.

Serie_C2_1987-88_-_Perugia_vs_Martina_-_Fabrizio_RavanelliFabrizio Ravanelli, perugino di nascita, ha iniziato e chiuso la carriera col club biancorosso.

 

 

Nella breve ed entusiasmante parabola del Perugia di D’Attoma, ci piace pensare che quel soffio di vento che deviò il tiro di Picella abbia avuto un grande peso, modificando qualche destino: di certo permise ai biancorossi, nell’immediato, di consolidare il primato e di allungare sulle terze classificate. L’Alessandria, dal canto suo, entrò in un periodo di risultati negativi e, a guardare la classifica finale, quel punto perso in extremis le avrebbe fatto decisamente comodo.simeone_materazzi_perugia_lazio_2001_ansa

 

Marco Materazzi con il Perugia, mentre sta contrastando il laziale Simeone.

 

 

Nel 1992, quando entrambe le formazioni militavano in C1, la Lega assegnò inaspettatamente il Perugia al girone meridionale; per ritrovarlo, e debuttare al Curi, l’Alessandria dovette attendere il 2009. Grigi e biancorossi erano allora due società in cerca d’identità, afflitte da problemi economici: a fine stagione per l’Orso si aprì tra molte incertezze la breve era Veltroni, il Grifo ripartì dai dilettanti. Lo scontro diretto di Pian di Massiano fu vinto ancora dai padroni di casa, per 2-1; del resto le trasferte umbre non hanno mai portato grandi gioie ai grigi (una sola vittoria, a Foligno nel 1983). Oggi che le due società mostrano buona salute e che guardano all’avvenire con una certa fiducia, è la Coppa Italia a rimetterle l’una davanti all’altra. Il peso di questa partita, nelle economie delle rispettive stagioni, sarà probabilmente relativo, e una delle due sarà senz’altro eliminata: ma chissà che non sia l’occasione, a questo giro, perché quel vento ricompaia nell’afa agostana, sorprendendo tutti ed iniziando a soffiare per entrambe, nel verso giusto.

Daniele Bolzani

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