Diritti di base come un tetto sopra la testa o la libertà dentro uno stadio

mercoledì, 26 Ottobre 2016

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Sabato 15 e domenica 16 ottobre c’è stato un confronto, nel “profondo nord” Italia, intorno al romanzo Fuoco ai mediocri, edito dalla  Red Star Press – Hellnation Libri.

La presentazione ha avuto luogo prima a Torino, presso la libreria AUT di via Sant’Ottavio e poi in Alessandria, al covo dei Mandrogni, enclave di un gruppo di supporters grigi impegnati anche nel sociale.

Gli incontri sono stati entrambi interessanti, anche se articolati in maniera diversa.

Nella città granata l’incontro è stato introdotto dall’autore della prefazione Domenico Mungo, autoctono ma ultras viola, con un intervento sulle sottoculture da parte di Oscar Giammarinaro, voce de Gli Statuto. In un sabato pomeriggio dal retrogusto meridionale, tra un clima primaverile e la quiete post-pranzo di una mangiata da trattoria barese.

Nonostante lo scritto in questione sia testimonianza fedele di una realtà metropolitana del sud Italia, molti sono stati i punti rispetto ai quali si è discusso con l’intento di comprendere quali siano i nuovi modi di cavalcare il disagio, per scongiurare gli effetti soporiferi delle tattiche messe in campo dal Sistema.

Al di là delle lunghe parentesi munghiane che accompagnano il mondo del tifo e dei movimenti antisistemici da oltre quindici anni, le parole sono volate anche ad Alessandria, dove i sabato sera passano veloci tra serate trash all’Officina e scazzottate da bevuta al pub; e senza l’impressione di scivolare lungo i vialoni bui dell’accademia spicciola dei tuttologi da tastiera.

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Il libro non è un romanzo facile, malgrado abbia i tratti fisiognomici della letteratura più disimpegnata come Human punk di John King, Colla di Irvine Welsh, Bastogne di Enrico Brizzi, o, ancora, Ragazzi di strada di Augusto Stigi, Viscerale di Rachid Djaidani, Un altro giorno di gloria di Riccardo Lovato, Quello che brucia non ritorna di Matteo Di Giulio, Panino al prosciutto di Charles Bukowski e Corretto al vetro di Stefano Balestrelli; e la tempra dell’esordio di John Carbone con L’ultimo dei bravi ragazzi che si consolidano in trame ed intrecci alla Jim Thompson in Bad Boy e Charles Willeford in Miami Blues.

Insomma, queste pagine trattano temi delicati, infilandosi in dinamiche che non tutti possono e devono comprendere.

Si parla di curve, di strade, di lotte e di sopravvivenza. Le difficoltà che i protagonisti dei vari racconti che costituiscono il romanzo affrontano, sono le spinose avventure che riserva la vita di tutti i giorni: si lotta contro le ingiustizie con tutta la forza che un uomo che nasce nella periferia di una grande metropoli del Sud Italia (mai citato nel romanzo il nome della città) possa avere. Ragazzi ai quali la vita non ha mai regalato niente e che per questo stanno ben attenti a non farsi togliere quel poco che gli è rimasto, siano questi diritti di base come un tetto sopra la testa o la libertà dentro uno stadio; senza mai farsi passare per la testa che la conquista dei diritti debba passare per l’imprescindibile filtro legalitario, segnando quest’ultimo il confine tra chi si diverte a spezzarsi le ossa per vivere nel rischio e chi sopravvive sazio delle briciole dispensategli sul davanzale da qualche mano scesa dall’alto.

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Non è un romanzo nè generazionale né autoreferenziale, e la dimostrazione di ciò la si è avuta sabato, quando gente di tutte le età e di diverse estrazioni sociali ha preso parte alla presentazione, dando vita ad un bel dibattito nel quale (senza quasi volerlo) si sono toccati tutti i temi discussi da Giuseppe, anzi Peppe o Peppone, nella sua opera: la repressione dentro e fuori dagli stadi, la coscienza sociale sempre meno presente nelle nuove generazioni, l’appiattimento della società civile con la conseguente drastica riduzione delle lotte sociali, la diffusione endemica di sostanze psicotrope che debilitano anche i più scaltri e li relegano ad esercito di addomesticati utili a riempire le “nuove” curve degli stadi e le piste dei locali.

Bari-Lecce

Grazie alla buona elasticità di Mungo e Milazzo, ovvero alla capacità di passare da un argomento all’altro cogliendone i nessi ontologici, si è riusciti a discorrere sulle differenze tra il mondo ultras e quello dei centri sociali, che potrebbero condividere di più le proprie strade, essendo spesso i frequentatori delle curve gli stessi ragazzi che frequentano i centri sociali e viceversa, così come gli stessi che affollano i bar dei quartieri e le piazze dei paesi di provincia.

La presenza di Oscar di piazza Statuto mod all’incontro del 15 ottobre ha contribuito ad allargare il dibattito anche sul mondo musicale, rendendo la presentazione ancora più interessante.

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Domenica sera in Alessandria invece (inevitabilmente si potrebbe aggiungere) la presentazione del libro ha avuto un taglio quasi esclusivamente “ultras”. D’altro canto il luogo e le persone che hanno ospitato l’autore fanno parte del mondo delle curve e si stanno impegnando nel creare un ciclo di presentazioni di libri e filmati che possano permettere ai ragazzi del gruppo Mandrogni di confrontarsi con realtà profondamente diverse, cosa che può stuzzicare la voglia di migliorarsi e di crescere, prendendo appunto spunto dalle esperienze che gli vengono raccontate di volta in volta.

Oltre che del libro si è parlato molto del problema della tessera del tifoso e di cosa questa abbia comportato all’interno del mondo ultras, cioè la spaccatura interna al “movimento” che ha di fatto agevolato il lavoro delle forze dell’ordine e delle istituzioni: un movimento, qualunque esso sia, spaccato al proprio interno è facilmente controllabile da chi detta le regole (divide et impera).

Altro argomento sul quale ci si è soffermati parecchio è stato quello delle cosiddette Taz, ovvero gli spazi liberati.

I Mandrogni

Milazzo, stimolato su questo argomento da una domanda specifica, ha spiegato il perché lui non creda si possa più definire Taz una curva: un luogo sorvegliato a vista da steward, celere e digos, con per lo più le telecamere che riprendono ogni secondo della vita di curva, non si può considerare un luogo libero e liberato. Sfruttando proprio l’argomento Taz si è giunti allo spunto più interessante della serata, sul quale varrebbe la pena di riflettere tutti assieme: una volta lo stadio (e la curva in particolare) era il “prolungamento ideale” della strada, con ragazzi giovani abituati a vivere la strada e le piazze tutti i giorni che inevitabilmente si trovavano presto a varcare i cancelli di uno stadio, attirati dal calore e dai colori del tifo italiano degli anni ’80, ora invece la situazione si è ribaltata: allo stadio ci è vietato praticamente tutto, non possono più entrare megafoni e tamburi, se accendi un fumogeno scatta il Daspo e di conseguenza un giovane difficilmente si può innamorare di un luogo che fatica a trasmettere emozioni.

Allora quale potrebbe essere una soluzione per ovviare a questo problema del disinnamoramento verso il mondo ultras?

Si è arrivati alla conclusione condivisa che creare spazi di aggregazione e socialità (come potrebbe essere una sede ultras piuttosto che un bar comune o un circolo) nella quale anche le nuove generazioni possono impegnarsi nei dibattiti e soprattutto nei lavori che aiutano a migliorare le curve (scrivere striscioni, rattoppare bandiere, preparare coreografie e così via) potrebbe riportare a vedere lo stadio come “prolungamento naturale” non più della strada ma dei bar o, più semplicemente, delle compagnie.

D’altra parte, “la controetica del vivere in antitesi è per i piani alti un frastuono indomabile.”

Davide Ravan, Antonino Alcamo

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