I casi di Anfield, Bernabeu, Camp Nou e San Siro. Ma anche del mitico Moccagatta
Da San Siro al Moccagatta, passando per il Santiago Bernabéu il Camp Nou e Anfield. Sono diversi gli stadi mito del calcio mondiale che sono stati e verranno sottoposti a importanti opere di restyling per renderli adeguati ai tempi moderni, conservando però il fascino legato alla storia dell’impianto: un plus non solo per i rispettivi club e i loro tifosi ma anche per gli appassionati di tutto il mondo.
Una tendenza, quella di ammodernare le grandi cattedrali del calcio – Gianni Brera, ribattezzò il Moccagatta il “Bernabéu dei poveri” – che sta prendendo piedi in Europa per diverse ragioni: dalle titubanze di alcuni club (leggasi Milan) a procedere con decisione nella costruzione di un nuovo impianto, alla volontà dei soci (come nel caso del Barcellona e dell’Alessandria) di non abbandonare il vecchio stadio, preferendo la ristrutturazione del vecchio, a decisione amministrative che rendono irrealizzabile la costruzione di un nuovo impianto (Real Madrid).
Chi sono sicuramente molto avanti su questa strada sono il Liverpool e l’Alessandria che hanno effettuato i lavori di ristrutturazione dei loro mitici impianti. Ad Anfield per portarne la capienza fino a 58 mila spettatori. Nel progetto, concepito dallo studio Kss di Londra che con le stesse modalità ha ampliato Craven Cottage del Fulham, il primo elemento che colpisce è la volontà (e la possibilità) di pensare a un piano di sviluppo “lungo venticinque anni”: se tra cinque anni i Reds avranno bisogno di altri diecimila posti da ricavare nella tribuna di fronte a quella principale, il master plan resta aperto. Questo è possibile perché lo stadio è grande, ma ha ancora margini di crescita.
Ma Anfield è un caso unico, anche per il contesto urbano attorno allo stadio, una delle zone più degradate della città. Alcune case, disabitate, sono state demolite proprio per fare spazio alla nuova tribuna. E tutta l’area, con la creazione di una nuova piazza e di un nuovo quartiere residenziale, viene profondamente riqualificata. Questo è il frutto di un confronto lungo una quindicina di anni, in cui sono state valutate altre ipotesi, come la costruzione di uno stadio nuovo nei pressi dell’adiacente Stanley Park o di un altro più lontano. Ma la scritta che campeggia ovunque nello stadio del Liverpool Football Club dice tutto: “This is Anfield”. Proprio come ad Alessandria svetta sempre la mitica Torretta. E da qui non si scappa.
“L’importanza storica dello stadio con la mitica curva della Kop, il memoriale per le 96 vittime di Sheffield, il cancello con la scritta ‘You’ll never walk alone’, hanno avuto un ruolo chiave nella decisione di non costruire una nuova struttura, ma intervenire su quella esistente”, aveva spiegato David Keirle, chairman di Kss al “Corriere della Sera”.
Proprio come il presidente dei Grigi Luca Di Masi ha sempre sottolineato l’importanza storica del Moccagatta con la sua inconfondibile tribuna centrale.
Nessuno come gli inglesi sa coniugare la tradizione con gli affari, la passione con le sterline. Una parte dei novemila posti che si sono aggiunti ad Anfield sono extralusso: c’è più spazio anche per le cucine dei ristoranti che accoglieranno i clienti (più che i tifosi) e gli sponsor. La lista d’attesa per ottenere le sistemazioni migliori era già praticamente al completo sino dall’inizio: “Non camminerai mai solo” quindi e sarai coccolato come in hotel. Sotto lo stesso tetto convivono la storica anima della working class dei tifosi Reds (al punto che la tribuna esternamente si presenta con i mattoni tipici di Liverpool) e quella più algida, ma altrettanto necessaria di chi vuole investire sullo spettacolo del calcio inglese.
I problemi che a Liverpool e ad Alessandria sembrano risolti in altre capitali del calcio europeo non lo sono. Lo sa bene il californiano Dan Meis, un archistar degli stadi americani a cui era stato affidato il nuovo impianto della Roma. “Il fattore chiave nel rinnovamento di un impianto mitico è quello di generare guadagni significativi – aveva spiegato, sempre al “Corriere della Sera” -. Un nuovo impianto deve avere suite di lusso, aree dedicate agli sponsor, ristoranti. Ma si valuta caso per caso. Se è difficile lasciare uno stadio con decine di anni di storia e di memorie dei tifosi, a volte le strutture esistenti sono così compromesse che i costi di un intervento sarebbero uguali o addirittura maggiori rispetto alla costruzione di un nuovo stadio. A Roma l’Olimpico ha una grande storia ma a causa della pista d’atletica andrebbe rifatto l’intero catino per renderlo ottimale per il calcio. In molti casi in Europa gli impianti storici sono anche cittadini e bloccati dal tessuto urbano. E questo rende difficoltoso ammodernarli o ingrandirli”.
Lo stadio milanese di San Siro.
A Milano, la retromarcia del Milan sullo stadio al Portello è destinata a rallentare il progetto avanzato dall’Inter di togliere il terzo anello di San Siro, che potrebbe essere adibito ad area commerciale: una situazione complicata. “Vero – dice Meis -. Non solo per la condivisione dei due club, che crea disaccordi sulle questioni chiave. Ma anche per il fatto che la struttura è concepita più per un pretenzioso esercizio di stile architettonico che per il godimento della partita. Ma dal momento che una nuova costruzione in Italia rappresenta già di per sé una sfida, prima di abbandonare San Siro studierei le potenzialità di un sensibile rinnovamento, sostenibile dal punto di vista economico”.
Il progetto del nuovo Bernabéu.
A Madrid ci ha pensato il tribunale a bocciare il progetto del Real, caratterizzato dalla megalomania del primo club al mondo per fatturato (550 milioni di euro). Il pacchetto presentato per rendere lo stadio dei Galacticos una specie di astronave (da 400 milioni di euro) comprende anche hotel e negozi per 12.500 metri quadrati. E avrebbe un forte impatto sull’area urbana dove sorge l’impianto. Tutto questo violerebbe la legge regionale sullo sfruttamento del suolo. Chissà as etra ricorsi e controricorsi, il tempio più prestigioso d’Europa cambierà volto?
Come il Camp Nou di Barcellona (foto sopra), per il quale era stata resa nota la lista, come agli Oscar, degli otto studi per portare la capienza a 110 mila posti attraverso un restyling profondo. Di farsi una casa nuova, anche in questo caso, non se ne è mai parlato. “A volte la carta bianca rappresenta uno svantaggio – fa notare Dan Meis -. Troppo spesso gli architetti sono tentati da forme spettacolari che hanno poco a che vedere con la città o con il club. Io amo la sfida di catturare la storia di un luogo, di conservarla. Mi piace integrare tutto l’ambiente circostante, fatto di parcheggi, luci, vie d’accesso… Mi ispiro al Palio di Siena. È una grande piazza pubblica che due volte all’anno diventa uno stadio. Sarebbe una gran cosa se ogni impianto trasmettesse questo, come se fosse il vero cuore della città”.
Mario Bocchio
Foto sotto il titolo: il celebre cancello di Anfield Road.
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