Dalle bistecche dell’albergo “Croce Verde” al titolo mondiale

lunedì, 07 Novembre 2022

Luigi Bertolini nell’Alessandria (foto archivio www.museogrigio.it)
Bertolini con la maglia dell’Alessandria

“Allenatore dell’Alessandria era Carcano. Vedendomi all’opera nelle riserve si chiedeva perché mai giocassi bene il primo tempo e nel secondo non facessi altro che cadere a terra. Venne finalmente a domandarmelo e gli risposi che con 25 Lire alla settimana non riuscivo a mangiare altro che caffelatte e brioches. Il giorno dopo venivo messo a pensione all’albergo ‘Croce Verde’ dove iniziai un duello (che mi vide sempre vittorioso) contro le più grosse bistecche che mi fosse dato di vedere. Con il nutrimento giusto ripresi vigore ed in pochi mesi passai alla prima squadra”. Questo raccontava Luigi Bertolini.

Non avendo il posto di titolare in prima squadra, doveva provvedere alla propria attrezzatura di gioco; lo faceva abitualmente, acquistando scarponi militari alla Cittadella e sostituendo i bulloni ai chiodi, in modo da essere a posto con il regolamento calcistico. Così avvenne l’esordio in prima squadra nei Grigi: “Era di scena ad Alessandria il fortissimo Torino, quando si ammalò il mediano Papa. Carcano mi cercò (era di sabato) e mi avvertì che il giorno seguente avrei esordito in Serie A. ‘Giocherai mediano’ mi disse svelto e se ne andò. Gli corsi appresso: ‘Come mediano? Ma se sono il centravanti delle riserve. Il mediano non lo so fare. E poi, proprio contro il Torino’. ‘Non ti preoccupare’ fu la risposta ‘gioca come sai e andrà tutto bene’. Vincemmo per 3-1 su di un campo più fango che prato”. “Sono nato a Busalla, nel 1904, per caso. La mamma, prossima all’evento, abitava ad Alessandria, dov’era nata. Mio padre, Aristide, era di Caprino Veronese; un tipo strambo, per come posso rammentarlo. S’imbarcò per l’America che ero ancora bambino. Faceva il pittore e s’aggiustava a suonare la chitarra” aggiungeva nelle interviste.

Bertolini nella Juventus

In campo, Bertolini, che giocava con una vistosa benda bianca al capo e per questo era chiamato Testa fasciata, dava l’impressione di spendere all’inizio tutte le energie che aveva in corpo. Spesso, a metà partita, sembrava già in riserva sfiancato e sfiatato; ma non era che un’ impressione. Il giocatore alessandrino era come un motore con il compressore che gira più del suo regime normale e Bertolini recuperava sempre: all’ultimo minuto era ancora quello del primo tempo, sempre con l’aspetto di un atleta sfinito che, miracolosamente, era arrivato alla fine della partita.  Nel 1929 l’Alessandria sconfisse la Juventus con autorete di Caligaris. Una gara memorabile. Al termine del campionato l’Alessandria iniziò la smobilitazione. Se ne andò l’allenatore Carcano (alla Juventus) portandosi appresso Ferrari. E fu proprio Gioanin a caldeggiare con Carcano l’acquisto di Bertolini l’anno successivo. La cifra di cessione fu di 150.000 Lire.

Mario Pizziolo, Luis Monti and Luigi Bertolini, il celebre “Testa fasciata”

“Il mio stipendio passò di colpo da 100 Lire a 5.000 Lire mensili. Quando lessi il contratto mi parve di diventare matto. Di cifre del genere ne avevo, fino a quel momento, solo sentito parlare. E poi c’erano i ‘premi’ di partita: 500 Lire per ogni confronto vinto, 250 per i pareggi. Nelle fila bianconere assaporai davvero l’ebbrezza della fama. Fu una specie di girotondo quasi fiabesco. Alberghi di lusso, viaggi in vagone letto, schiere di tifosi in ogni parte d’Italia. Erano anni dorati. Vinsi in bianconero quattro scudetti consecutivi, dal 1931 al 1935” ammise Bertolini. E nel mezzo ci furono anche le imprese mondiali con la Nazionale di Vittorio Pozzo, insieme a Gioanin. C’era anche lui il 14 novembre 1934 nella gara ormai famosa di Londra, quando l’Inghilterra ci sconfisse per 3-2 dopo averci inflitto tre reti (a zero) nel primo tempo. Lo stadio di Highbury ribolliva come un vulcano. Poco prima dell’inizio Pozzo gli ordinò di togliersi la benda bianca che gli cingeva la fronte, alla quale era abituato ormai da anni. “Gli inglesi, mi spiegò Pozzo, non accettavano quella piccola mania, definendola esibizionistica. Me la tolsi a malincuore. Senza quella benda candida sulla fronte mi pareva d’esser nudo di fronte a 100.000 spettatori. Nel clima rovente della battaglia di Highbury scordai benda ed ogni altra cosa”. Monti si fece male, frattura ad un piede, dopo pochi minuti.

Gli inglesi, che volevano ad ogni costo travolgere la nostra Nazionale appena reduce dall’alloro mondiale di Roma, attaccarono con una violenza impressionante. Ridotti in dieci replicammo colpo su colpo e nella ripresa, con il pubblico che man mano s’azzittiva, cominciammo la rimonta. Due volte Meazza fece centro ed a 30 secondi dalla fine Guaita, solo davanti al portiere britannico, colpì il palo con un tiro irresistibile. “In Italia persi una sola partita, in maglia azzurra, e la triste storia mi toccò proprio a Torino, davanti al mio pubblico. Si giocava contro l’Austria dei Sindelar e dei Jenisalem. Andai completamente ‘in barca’, insieme a Combi e Caligaris. Perdemmo per 3 a 4 ed il mio diretto rivale, l’ala destra Svoboda, fece centro due volte. Promisi solennemente ai miei compagni di squadra che se avessi incontrato altre volte Svoboda e quegli fosse riuscito ancora a segnare, io avrei abbandonato il football. Il duello si ripeté altre due volte, a Milano e a Roma nei Mondiali. Svoboda non riuscì più a segnare. Io continuai a giocare”.

Mario Bocchio

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