Playoff per la B: è tempo di vendicare l’ingiustizia di cinque anni fa

venerdì, 06 Maggio 2016

SpareggioSalernitana5 giugno 2011, svanisce il sogno della B: Marcello Marcellini consola capitan Cammaroto.

 

“Il destino ha molta fantasia in più di noi”: così canta Biagio Antonacci in “Le cose che hai amato di più”, e mai frase è più giusta.

L’Alessandria ritorna a giocarsi la serie B – tramite la lotteria dei playoff – esattamente cinque anni dopo l’ultima volta, quella della doppia sfida contro la Salernitana.

CardiniL’allora direttore sportivo Nario Cardini (a sinistra) e l’allora presidente Giorgio Veltroni.

 

Era l’Alessandria della sciagurata gestione di Giorgio Veltroni, poi del caos, dell’autogestione e addirittura della retrocessione a seguito di illecito sportivo. Ma soprattutto erano i Grigi che si identificavano principalmente in due personaggi, in campo e in panchina. Fabio Artico e Maurizio Sarri. Sembra ieri, ma di acqua ne è passata tanta sotto i ponti, e soprattutto la piazza ha trovato una proprietà seria e solida.

La squadra terminò la regular season al terzo posto, dietro al Gubbio (che dominò il torneo),  ed il Sorrento e davanti di 2 punti alla Salernitana e (con ben cinque punti di vantaggio) al Verona di Mandorlini, che poi vinse i playoff, ma che al “Moccagatta” venne tramortito da quella magistrale punizione di Artico ormai entrata nell’immaginario collettivo.

A guidarci nel ricucire quei singoli ricordi in un’unica trama, Marcello Marcellini, all’epoca team manager della squadra e uno degli uomini più vicini a Sarri, insieme al suo inseparabile vice Francesco Calzona – anche lui oggi a Napoli – suo vecchio amico ed ex venditore di caffè, che ha avuto l’onore di sostituirlo in panchina (perché squalificato) proprio il giorno della promozione in A dell’Empoli.

L’Alessandria arrivò ai playoff con due vittorie consecutive, in casa contro la Spal e a Bassano. La B fu veramente ad un passo per quella squadra degli autentici miracoli, sfasciata a livello societario ma entrata a pieno titolo nella ultracentenaria storia per il valore di quel collettivo. Per gli alti valori morali. Erano giocatori, staff e dirigenti che non percepivano lo stipendio, che per poter sostenere le trasferte erano obbligati a vere e proprie questue, bussando non solo alla porta dello sponsor Alegas e del Comune (per motivi politici si creò il conflitto con la Provincia), ma coinvolgendo nella colletta addirittura i tifosi, sia alessandrini che quello residente a Torino che finanziò la trasferta a Monza. Veltroni ormai si presentava solo per ritirare di persona gli incassi, e si guardava bene dall’andare negli spogliatoi. Il veterano Artico – diventato una sorta di chioccia per i compagni – fu addirittura più volte sul punto di mettergli le mani addosso.

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Come noto, si affacciò poi sulla scena Alessandro Mongarli, di Alpignano, portato dal giornalista Enzo Pregnolato. Il pedigree annoverava già i flop con il Toro e il Parma, nell’aria tutti sentivano puzza di bidone ma – come ammette lo stesso Marcellini – paradossalmente, pur pressoché certi dell’inaffidabilità del personaggio, lo stesso era stato accettato ed utilizzato come stimolo. L’illusione nella disperazione, per rendere l’idea. E veniamo al primo atto.

Nella bolgia dello stadio “Arechi” finì 1-1. La curva dove erano stipati i tifosi della Salernitana era un muro indemoniato, proprio sopra il tunnel per entrare in campo e il primo impatto poteva già essere devastante.

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L’ arbitro Di Paolo di Avezzano cacciò immeritatamente ben due giocatori grigi: Pucino e Barbagli. Ma che emozione quando al 35’ Martini portò in vantaggio l’Orso Grigio: Alessandria, che appariva spettrale per l’attesa, come per il sortilegio di un rito magico esplose in un boato collettivo, straripante da ogni casa, bar o circolo con la tivù sintonizzata in diretta con lo stadio campano. PlayoffSalernitana (3)

In panchina – a detta di Marcellini – al primo sfogo di euforia, fece breccia la consapevolezza che ben presto ci sarebbe stato l’assalto al fortino. Eroici, combattenti con il coltello tra i denti, contro tutti: tifo assordante, decisioni del direttore di gara e avversari. L’Alessandria – con gli attaccanti Croce e Bondi votati ad un’inedita prestazione da terzini – capitolò solo una volta, al 65’, trafitta da un rimbalzo incontrollato e sfortunato tra il palo e il braccio del portiere Servili.

PlayoffSalernitana (1)L’incontro terminò 1-1, proprio come poco più di un mese prima, quando a Fabinho replicò Scappini

In città scoppiò la febbre del biglietto, tutti volevano essere presenti al “Mocca” per quella che pareva un impresa ormai fatta per più della metà.

Come al solito, Sarri fece isolare la squadra nel ritiro di Bassignana. Regnavano due stati d’animo contrastanti: da un lato la voglia di scrivere la storia, dall’altro la preoccupazione per l’ormai sicuro deferimento che avrebbe poi portato alla sentenza di retrocessione. La Salernitana di Breda aveva l’imperativo categorico della vittoria per centrare la finale contro il Verona e perché – al pari dell’Alessandria – considerava un’eventuale promozione in B l’ancora di salvataggio da un punti di vista economico-finanziario – mentre ai Grigi sarebbero bastati due risultati su tre: vittoria e pareggio.

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“Giocatori e ultrà: orgoglio di questa città”: lo striscione appeso in una Curva Nord da brividi riassume ancora oggi lo spirito che si respirava quel giorno allo stadio, che chiamò a raccolta proprio tutti, con i più anziani che avevano gli occhi lucidi per l’emozione di rivedere la luce della serie B. La rete ancora di Martini sembrò porre fine ai sogni di gloria dei granata, ma i campani seppero dare il meglio di loro una volta subìto proprio lo svantaggio.

Complice anche una flessione della squadra grigia soprattutto sulle fasce, alla quale Sarri – che pure si era confrontato con Calzona – non seppe porre rimedio.

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Fallo fuori area. Fabinho in corsa venne sgambettato da Cammaroto ad almeno un metro fuori dall’area di rigore. L’arbitro Marco Viti di Campobasso (nella foto sotto), SpareggioSalernitana (1)tra le proteste generali, indicò invece il dischetto. Rigore inesistente perchè l’intervento era nettamente avvenuto fuori area. Il penalty fu trasformato con freddezza da Carrus e, poco dopo, lo stesso regista – grazie ad una mirabile punizione (che determinò l’incredibile espulsione di Romeo, ingiustamente “colpevole” di aver istintivamente allargato le braccia per proteggersi dall’avversario mentre il pallone usciva in fallo laterale) mandò in visibilio i tanti tifosi salernitani assiepati sugli spalti del nostro stadio. Ad un quarto d’ora dalla fine, nell’intento di risollevare le sorti, venne mandato in campo Artico al posto di Martini. Sarri utilizzava lo stesso Artico un po’ come fa oggi Spalletti alla Roma con Totti.

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Completò l’opera lo stesso Fabinho con un preciso tocco ad insaccarsi sotto le gambe di Servili. L’arbitro impreziosì in negativo la sua prestazione con l’espulsione di Croce, per un sgambetto di frustrazione ai danni di Aurelio.

SAL - alessandria - salernitana Nella foto ragusa Foto Tanopress

Il sogno era svanito. Marcellini che consola il capitano Cammaroto che piange a dirotto per aver visto svanire la grande occasione della vita, spiega più di ogni parola gli stati d’animo di quel pomeriggio inoltrato. Tutti si resero conto che da lì in avanti ci sarebbero stati giorni duri e bui. La rabbia si riversò soprattutto sull’arbitro, il povero Biava – scomparso tragicamente proprio pochi giorni fa – è ricordato per la sua foga contestatrice. All’ingresso degli spogliatoi il direttore sportivo Nario Cardini venne colto da malore, dopo una alterco con il guardalinee. Sarri, che in più occasioni si era detto sicuro di battere il Verona in finale, rimase del tutto in silenzio.

Alla fine in serie B andò il Verona, e con il senno di poi – proprio come fa notare Marcellini – in fondo fu un epilogo probabilmente gradito alla Lega. Perché infatti vedere promosse un’Alessandria di fatto senza società e per di più indagata, oppure una Salernitana che fallirà solo dopo due mesi non sarebbe stata un’immagine positiva. È un tremendo sospetto, ma che potrebbe essere una verità fondata se si considera che l’arbitro Viti venne promosso in B al termine di quella stagione per poi essere quasi subito scartato. Un avanzamento di carriera che sa tanto di una sorta di “paga di giuda” per il “killeraggio” del “Moccagatta”. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

Mario Bocchio

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