I Grigi a D’Agostino, il vice-Pirlo che poteva andare al Real Madrid

mercoledì, 13 Giugno 2018

 

Adesso è ufficiale: Gaetano D’Agostino è il nuovo allenatore dell’Alessandria. A comunicarlo è stato lo stesso club con una nota.

“Chiusa la mia carriera con il calcio giocato al termine della stagione 2015-‘16, ho deciso di intraprendere subito il percorso di allenatore con l’Anzio in Serie D per poi passare nel professionismo nell’estate 2017 diventando il nuovo tecnico della Virtus Francavilla” così si legge sul sito ufficiale di D’Agostino

Proprio sotto la guida di D’Agostino, il club brindisino ha conquistato, per il secondo anno consecutivo, la qualificazione ai playoff per la promozione in Serie B, terminando il campionato al nono posto.

Al primo turno ha superato, in partita unica disputata in trasferta, il Monopoli (per 1-0). Al secondo turno, al termine di un match unico disputato in trasferta, è stato eliminato dalla Juve Stabia che ha vinto per 4-3.

Molto importante è la carriera da giocatore di D’Agostino e vasta la rassegna stampa.

Ama raccontare sempre di quando era alla Roma. Arrivava al campo di allenamento insieme a Lanzaro, Amelia e un altro paio di ragazzi sempre mezz’ora prima, prendevano tutti palloni. Poi li gonfiavano e facevanoun po’ di tecnica individuale con Galbiati, il vice di Capello. Infine si allenavano con la squadra, ma alla fine dovevano riprendere i palloni, pulirli, sciacquarli e rimetterli dentro la sacca. Ogni giorno. Dovevano capire come si stava in uno spogliatoio.

Fame, ambizione e determinazione: sono sempre stati questi i suoi punti fermi, sin dall’inizio della carriera, nella sua Palermo, quando lo chiamavano Bombolino per via del fisico. Giocava in attacco e segnava tanti gol

Nella Roma esordì nell’anno dello scudetto, in quella stagione c’erano dei campioni incredibili. Lo spogliatoio era fantastico, almeno due giocatori forti per ruolo. Infine Totti, che dire? Ha imparato veramente tanto. Prima Capello, poi l’anno dei quattro allenatori. Con Capello aveva giocato sedici partite da protagonista, poi si ritrovò in un inferno. All’inizio c’era Prandelli, con lui stava bene. Poi se ne andò, arrivò Voller, che disse chiaramente che si era assunto questa responsabilità soltanto per rispetto della Roma, che se fosse stato per lui non sarebbe neanche venuto. Con Delneri le cose non andarono meglio: D’Agostino giocava come quinto esterno a centrocampo, non aveva nulla a che fare con quel ruolo. Una volta marcò Zenoni, dopo tre minuti rimediò un giallo. Allora guardò l’allenatore e gli disse che alla prossima l’avrebbe buttato giù. Correvano troppo. Giocò in mezzo giusto un paio di partite, la stampa gli diede 7 ma scelse di andare a Messina. Bene per due anni, un mese anche con Ventura, quindi Udine.

Il segreto dei bianconeri friulani era l’ossatura italiana, sono stati quattro anni in crescendo. Prima utilizzavano il 3-4-3, poi il 4-3-3. Europa, Coppa Uefa, tanti talenti. Ogni anno ne arrivava uno. Lista lunga: Quagliarella, Asamoah Gyan, Handanovic, Pepe, Sanchez. Infine Totò Di Natale, una bandiera amata da tutti. Undici gol di D’Agostino nel 2009, il mancino che infilava punizioni: quello contro la Lazio uno dei più belli.

Juventus, Real Madrid, Napoli. Tutto d’un fiato. Un sogno infranto? Conserva ancora la copia del precontratto con i Blancos, pure i biglietti dell’aereo. Oltre ai soldi, la Juve dall’Udinese voleva anche Giovinco e De Ceglie. Fu un duro colpo, ormai il suo trasferimento era diventato il tormentone dell’estate, non andò neanche in vacanza. Era a Lignano Sabbiadoro, avrebbe potuto firmare ogni giorno e aveva sempre il telefono in mano, poi saltò tutto e la Juve prese Felipe Melo a 25 milioni. Uno che col suo ruolo non c’entrava nulla. Se avessero preso Pirlo ok, anche Xabi Alonso. Ma Melo, boh. Xabi invece sì, infatti andò al Real al posto suo. Lo chiamò Ernesto Bronzetti, l’intermediario. D’Agostino vide un numero strano e rispose. Gli disse chi era, che cosa voleva. Lui pensò ad uno scherzo e riattaccò subito. L’altro lo richiamò dopo un minuto. Aereo in partenza, contratto da due milioni a salire, gli disse di aspettare perché in serata sarebbero venuti a prenderlo a casa, era sicuro che avrebbe firmato col Real. Allora riattaccò e chiamò la moglie, non ci stava capendo più nulla E poi? Da lì in poi, non seppe più niente. Plusvalenza, giocatori in cambio. Sono circolate mille storie, ma ancora oggi non sa ancora come andò.

Treno che parte e non ritorna, morale a terra: aveva perso la Juve, il Real e… il Napoli. Era tutto fatto, mancava soltanto il suo sì, purtroppo finì in mezzo alle due trattative e rifiutò. Resta il rimpianto più grande della sua carriera.

D’Agostino restò all’Udinese e ne risentì, non c’era mentalmente, segnò giusto un gol. Fece tre partite alla grande e a febbraio si ruppe il ginocchio, non entrò neanche nei trenta convocati per il Mondiale in Sud Africa. E fu un trauma, perché era sempre stato orgoglioso di vestire la maglia della Nazionale. Emozione uniche: come vice-Pirlo, molto apprezzato dal Ct Lippi, in azzurro ha collezionato solo sei presenze , per poi uscire dal giro causa infortuni.

Dopo Udine qualche anno difficile: andò a Firenze ma il ciclo era finito, avevano toccato il massimo con Prandelli e quei successi erano difficilmente ripetibili. Conserva un bel ricordo a livello di singoli, c’erano Ljaic, Gilardino, Mutu, anche Mihajlovic come allenatore. Ma lo spogliatoio era piatto, forse il più brutto della sua carriera, infatti la Fiorentina disputò un campionato mediocre.

Tappa a Siena, tra gioie e malumori: ambiente tranquillo, ma pesante. Il primo anno – presente anche Pablo Gonzalez – i bianconeri si salvarono grazie a un grande Mattia Destro, poi è successo il casino con la Montepaschi. E i tifosi gli facevano pesare il fatto che vivesse a Firenze.

A Pescara l’ultimo anno di Serie A: sono stati sei mesi difficili, c’erano talenti straordinari come Perin, Quintero, Weiss. Ma troppo inesperti, difficile salvarsi con un gruppo così. Un po’ come ad Andria: stava benissimo, poi andò a Benevento perché non c’era un progetto, gli diedero del mercenario ma la società non sapeva fare calcio. A trent’ anni qualche offerta: anche dal Giappone, Felix Magath (il giustiziere della Juve ad Atene) lo voleva all’FC Tokyo. Poi presero un altro allenatore e rimase in Italia. Gli sarebbe piaciuto andare a Dubai, o in America, ma non c’è mai stato niente di concreto. Alla fine ha chiuso con la Lupa Roma.

In attesa della sua prima conferenza stampa al “Moccagatta”, arriva ad Alessandria preceduto da quella regola di vita che si è sempre imposto, fame, ambizione e determinazione. E con il rimpianto per non essere andato al Real, che lo tormenetrà per sempre.

Mario Bocchio

 

 

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