Da sempre l’Atalanta è un serbatoio di campioni

giovedì, 31 Agosto 2017

 

No, nessun miracolo. «Solo» tradizione, pianificazione, allenatori e osservatori bravi. Sono quelli dell’Atalanta Bergamasca Calcio del presidente Antonio Percassi e dell’allenatore Gian Piero Gasperini che aveva ceduto all’Inter uno dei suoi gioielli 2016-‘17, il mediano Roberto Gagliardini (foto sopra, classe 1994); dopo aver venduto il difensore centrale Mattia Caldara (classe 1994) alla Juventus. Ma a Bergamo non hanno nemmeno il tempo di fregarsi le mani per la plusvalenza messa a segno, tante sono le richieste a livello internazionale per gli altri «under 23» in vetrina. Gente come il centrocampista ivoriano Frank Kessiè (classe 1996) ambito da mezza Europa, con Barcellona e Chelsea in testa, poi finito al Milan; il centravanti Andrea Petagna (classe 1995), il terzino destro Andrea Conti (classe 1994, anche lui al Milan). Questo senza dimenticare quell’Alberto Grassi (classe 1995) già ceduto al Napoli di Sarri e oggi dirottato in prestito alla Spal. Alla Dea, comunque, hanno avallato la cessione di Gagliardini a (brillante) campionato in corso, proprio perché un sostituto di alto livello è già stato individuato in casa. Si potrebbe trattare di Filippo Melegoni (1999), alla Dea fin dai Pulcini, che in questi mesi si è imposto a nemmeno 18 anni come il regista-leader della (fortissima) squadra Primavera di Valter Bonacina. Melegoni è l’ultimo erede della storia di una squadra da cui sono passati nei lustri fior di campioni. Alcuni scoperti e formati, altri rilanciati. E non si può che partire da loro per spiegarsi il successo attuale.

Jeppson e quella «plusvalenza»

Sbaglia chi pensa che la plusvalenza più importante della storia della Dea sia con le cessioni di Gagliardini o di Caldara . Ci fu un’annata che i lungimiranti (e fortunati) dirigenti orobici misero a segno un colpo memorabile. Per merito dello svedesone Hans Olof «Hasse» Jeppson (classe 1925), attaccante fortissimo fisicamente e dotato palla al piede anche di una certa eleganza. Capitano della Nazionale, aveva preteso dalla Dea circa 18mila sterline d’ingaggio per venir via dal Charlton in Inghilterra. Soldi spesi bene: in pochi mesi del campionato di serie A ’51-‘52 risollevò un’Atalanta in crisi di risultati coi suoi 22 gol (in 27 partite). Ingaggiato a fine ottobre 1951, nel giugno successivo fu ceduto al Napoli di Achille Lauro per una cifra (allora record) di 105 milioni di lire.

Domenghini, l’Angelo arrivato dall’oratorio

Angelo Domenghini da Lallio (classe 1941) ha il merito di aver aperto la strada alle grandi ali destre del calcio italiano. Ruolo nel quale esploderanno dopo di lui (fra gli altri) Claudio Sala, Franco Causio, Bruno Conti e Roberto Donadoni. Pescato dalla Dea nella vicina Verdello a inizio anni ‘60, questo esile giocatore che rifiniva alla grande e sapeva anche segnare (93 reti in A), proprio con l’Atalanta vinse il suo primo trofeo una Coppa Italia (3-0 sul Torino) siglando addirittura una tripletta. Talentuoso, ma umile e gran lavoratore, seppe adattarsi ad altri ruoli nella grande Inter di Herrera, dove con la maglia numero 7 giocava Jair. Con Riva al Cagliari (e in Nazionale), formò quindi una coppia da leggenda. Lui a rifinire, «Rombo di tuono» a segnare… Il Parroco di Lallio (paesino alle porte di Bergamo) lo aveva venduto al Verdello per poco più di 20mila lire.

Gaetano Scirea, da Cernusco alla Dea

Uno dei più grandi difensori della storia del calcio era nato e si era formato nel cuore della Lombardia (lui che era di una famiglia originaria della Sicilia). Si tratta di Gaetano Scirea (classe 1953) che era stato «pescato» dagli osservatori dell’Atalanta, a metà anni ‘60, mentre sgambettava con una squadretta di Cinisello Balsamo. Sì, perché già allora gli osservatori della Dea «scippavano» talenti al Milan e Inter… Dello Scirea pluricampione si sa tutto, ma forse in molti si dimenticano che, nato ala destra e diventato difensore di classe nella Primavera atalantina, si trovò come compagno di squadra uno stopper «piè de ghisa» («piede di ghisa», piede poco raffinato) come Antonio Percassi, futuro (grintoso) difensore di Atalanta e Cesena, poi imprenditore e attuale presidente della Dea.

Cabrini, il «Bell’Antonio» lanciato dai nerazzurri

Sì, è vero: Antonio Cabrini da Cremona (classe 1957) futuro Campione d’Italia e d’Europa con al Juve e Campione del Mondo con la Nazionale, è nato calcisticamente nella squadra della sua città. In grigiorosso sono infatti i suoi primi due anni da (semi)professionista; sufficienti però a metterlo in mostra. Più veloce di tutti fu poi l’Atalanta che (con l’appoggio della Juventus) nell’estate del 1975 quando il Bell’Antonio non ha nemmeno 18 anni acquista il giocatore dal Presidente Luzzara. Nella stagione ‘75-‘76 Cabrini esplode in B con la Dea, protagonista di un torneo talmente positivo che Boniperti lo prende tutto per la Juve: là dove la favola del terzino sinistro comincerà a scriversi.

Donadoni da Cisano a Bergamo

Roberto Donadoni (1963) è uno dei più grandi esterni di centrocampo del calcio italiano ed è nato a Cisano Bergamasco. Normale che (a 17 anni) finisse nelle giovanili dell’Atalanta, dopo aver cominciato all’oratorio locale prima e nella Cisanese poi. A Bergamo lo lasciarono crescere in pace il primo anno (con la Dea in C1), poi Ottavio Bianchi lo chiamò in prima squadra (‘82-‘83) e da lì (con Nedo Sonetti allenatore) la scalata fino alla serie A con gli orobici. Nel 1986 Silvio Berlusconi lo compra per il suo nuovo Milan come primo acquisto di grande rilievo della sua gestione; e da allora sono successi su successi.

«Bobone» Vieri inaugura la stagione dei grandi attaccanti

Anche Cristian Vieri deve molto a Bergamo. Il più forte attaccante italiano degli anni ‘90, dopo aver tirato i primi calci al Prato, essersi formato alle giovanili del Torino di Sergio Vatta, aver esordito in A e cominciato in B (Pisa, Ravenna e Venezia), all’Atalanta disputa la sua prima stagione da titolare in massima serie con allenatore Mondonico nel ‘95-‘96 (19 presenze con vari infortuni e 7 reti); un’annata sufficiente ad accendere i riflettori sulle sue indubbie qualità tattico-fisiche. La Juve lo compra l’estate successiva e Bobone Vieri diventa uno dei più forti (e prolifici) attaccanti in circolazione.

Pippo Inzaghi lanciato per sostituire Bobo

Via un campione (Vieri), dentro un altro. Filippo «Pippo» Inzaghi (1973) non sembrava un predestinato a vincere tutto (Scudetti, Champions League, Campionato del Mondo) ma era uno che c’era sempre nell’area di rigore. Al momento giusto, nel posto giusto. Proprio come nella vita: l’Atalanta cercava un sostituto di Vieri? Nell’estate del 1996 lo trovò in questo piacentino di 23 anni, reduce da una (brutta) stagione da panchinaro al Parma. La morale? Capocannoniere in serie A con 24 gol in 33 gare e lancio definitivo nel grande calcio. L’anno successivo sarà alla Juventus.

Pazzini, «pescato» in Toscana

Si dirà che Giampaolo Pazzini (1984) non sia mai del tutto arrivato a mantenere le promesse con le quali aveva fatto ingresso nel calcio che conta. Attaccante comunque prolifico. Oggi continua a giocare con il Verona e sa ancora essere goleador; eppure ci si ricorda di lui quando con le giovanili orobiche faceva «sfracelli» a livello giovanile. Era stato scoperto e acquistato a soli 16 anni da una squadretta toscana (lui è di Pescia) ma già a quell’età era una grande promessa. Quasi subito in Primavera segnava gol a grappoli: poi arriveranno la serie A con l’Atalanta, la Fiorentina, la Samp e le milanesi. In Nazionale 25 presenze con 4 gol. Classico esempio di giocatore scoperto, allevato e valorizzato alla corte del Colleoni.

Montolivo. Di madre tedesca, ma di «scuola-Atalanta»

Riccardo Montolivo (classe 1985) nell’Atalanta praticamente è nato. Non aveva che otto anni quando intraprese la trafila nelle (già) prestigiose giovanili orobiche, dove allora muoveva i primi passi da allenatore lo stesso Cesare Prandelli (che poi ne farà il perno della sua Nazionale). Dal 1993 al 2005 il regista praticamente respira nerazzurro a tutti i livelli agonistici, fino alla B e alla serie A; prima di essere acquistato dalla Fiorentina che lo vuole al fianco dell’altro talento Pazzini. A soli 22 anni quindi l’esordio in azzurro (lui che ha anche il passaporto tedesco essendo di madre teutonica).

Morfeo? Il più grande di tutti. Ma solo nelle premesse

Cosa dire di Domenico Morfeo (1976)? Che forse di tutti gli ex campioni dell’Atalanta era il più dotato tecnicamente, ma anche che (nonostante una carriera dignitosa) resta il più grande rimpianto. Abruzzese di Pescina, mezzapunta-regista dai piedi sopraffini, per almeno un lustro è il campione che tutti attendono a consacrazione definitiva. In collegio alla Dea dai 12 anni, esordisce in A a 17. Poi fra il 1995 e il 1997 è il gioiello che l’Atalanta mette in mostra. Ceduto prima all’ambiziosa Fiorentina di Malesani, poi a Milan, Inter, Parma (fra le altre) non arriverà mai alla consacrazione definitiva. E nemmeno in Nazionale. Ma che qualità,

Mario Bocchio

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