Il Leone senza benda nella battaglia di Highbury contro i maestri inglesi

venerdì, 08 Agosto 2014

 

Italia-Inghilterra

Luigi Bertolini è stato uno dei più forti mediani dei Grigi e del calcio italiano di tutti i tempi. Campione del mondo nel 1934 entra nella leggenda per essere uno dei leoni di Highbury. Nell’Alessandria gioca 116 volte segnando 6 goal tra il 1926 e il 1931, il periodo migliore per la squadra grigia. Gioca 26 volte in Nazionale e vince 4 scudetti nella Juventus del quinquennio d’oro. Usava indossare una fascia bianca in testa e questo lo rende riconoscibile in moltissime fotografie mitiche degli anni venti e trenta.Bertolini (1)
Dalla voce diretta di “Testa fasciata” in una intervista che rilasciò nel 1966: “Due incidenti piuttosto seri mi capitarono nel periodo juventino. La frattura di una tibia contro la Triestina per un violento colpo subito ad opera dell’ala giuliana Mian; la frattura di due costole in un match internazionale contro l’Ungheria, da noi vinto. L’ala magiara Markos, un tracagnotto veloce e grintoso, per difendersi da una mia carica mi piazzò il gomito dritto nel petto. Sentii un dolore acutissimo, credetti di svenire. Mi ripresi subito ma finii la gara piegato in due per il dolore. Tra i miei ricordi più belli, la gara ormai famosa di Londra, quando l’Inghilterra ci sconfisse per 3-2 dopo averci inflitto tre reti (a zero) nel primo tempo. Lo stadio di Highbury ribolliva come un vulcano. Poco prima dell’inizio Pozzo mi ordinò di togliermi la benda bianca che mi cingeva la fronte, alla quale era abituato ormai da anni.

Italia campione del mondo

Gli inglesi, mi spiegò Pozzo, non accettavano quella piccola mania, definendola esibizionistica. Me la tolsi a malincuore. Senza quella benda candida sulla fronte mi pareva d’esser nudo di fronte a 100.000 spettatori. Nel clima rovente della battaglia di Highbury scordai benda ed ogni altra cosa. Bertolini (2)

Monti si fece male, frattura ad un piede, dopo pochi minuti. Gli inglesi, che volevano ad ogni costo travolgere la nostra Nazionale appena reduce dall’alloro mondiale di Roma, attaccarono con una violenza impressionante. Ridotti in dieci replicammo colpo su colpo e nella ripresa, con il pubblico che man mano s’azzittiva, cominciammo la rimonta. Due volte Meazza fece centro ed a 30 secondi dalla fine Guaita, solo davanti al portiere britannico, colpì il palo con un tiro irresistibile. In Italia persi una sola partita, in maglia azzurra, e la triste storia mi toccò proprio a Torino, davanti al mio pubblico. Si giocava contro l’Austria dei Sindelar e dei Jenisalem. Andai completamente ‘in barca’, insieme a Combi e Caligaris. Perdemmo per 3 a 4 ed il mio diretto rivale, l’ala destra Svoboda, fece centro due volte. Promisi solennemente ai miei compagni di squadra che se avessi incontrato altre volte Svoboda e quegli fosse riuscito ancora a segnare, io avrei abbandonato il football. Il duello si ripeté altre due volte, a Milano e a Roma nei Mondiali. Svoboda non riuscì più a segnare. Io continuai a giocare”.

Mario Bocchio

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