Museo Grigio - Archivio Storico

Stagione: 1936/1937
Serie A
04-10-1936 - Giornata: 4 - Roma - Testaccio


Roma AS - Alessandria US 1 - 0 (0 - 0)
RETI: 71. Bernardini F. [Ro]

Alessandria US Ceresa Ugo, Rosso Alberto, Turino Giuseppe, Barale Oreste, Giuntoli Adolfo, Ferrero Francesco, Massiglia Armando, Menighetti Oreste, Robotti Luciano, Coscia Aristide, Casalino Luigi All.: Stürmer Karl

Formazione avversaria
ROMA AS: Masetti; Monzeglio, Allemandi; Frisoni (II) Evaristo, Bernardini, Gadaldi; Fusco, Subinaghi (II) Otello, Di Benedetti, Tomasi (I) Ernesto, D'Alberto. All.: Barbesino Luigi.

Arbitro: Casati Pompeo (Como)
Note
Angoli: 11-2 (5-1). Spettatori: 6.000 Inizio gara ore 15.00

Commento
Al 26’ del secondo tempo, quando Bernardini ha segnato l’unico, sudato e decisivo punto della partita, la Roma tutto meritava fuorché la vittoria. Il gioco era stato sin qui di pessima lega e l’impegno non eccessivo. Niente gioco di qualità né dall’una né dall’altra parte. Ma se per l’Alessandria possono essere avanzate numerose attenuanti (rimaneggiamento dei ranghi, squadra verde, inesperienza sino all’ingenuità, ecc.), quali scusanti può presentare la Roma? Ordinaria amministrazione, devono aver pensato i compagni del dott. Bernardini (da poco laureato in scienze commerciali). Forse è per questo che, sino al momento del punto, quasi tutti gli ospitanti si sono fatti battere in velocità ed in buona volontà da ragazzi che, salvo qualche rara eccezione, non avevano altre doti all’infuori di queste citate. È solo nell’ultimo quarto d’ora che la Roma, pur senza «svegliarsi» (nel senso che i partigiani di una squadra danno a tale verbo) completamente, s’è guadagnata moralmente i due punti legittimando lo striminzito successo se non con la carta bollata di altre reti, almeno con la carta libera di una chiara e incontestabile superiorità. La Roma, ripetiamo, ha fatto acqua da tutte le parti. L’estrema difesa s’è portata meglio in altre occasioni, la mediana ha risentito della imprecisione di Bernardini, che oggi aveva idee confuse e sembrava persino impacciato nei movimenti. Il punto segnato dal classico «Fulvio» non è davvero uno dei migliori fra tutti quelli da lui ottenuti nella sua lunga e gloriosa carriera calcistica, e tuttavia è rimarchevole in quanto segnala l’avvedutezza, la prontezza di percezione, il sempre vitale gioco dei riflessi dell’ex nazionale. Com’è avvenuto? C’è stato un calcio d’angolo contro l’Alessandria, immediatamente seguito da un altro calcio d’angolo. Dopo un suo intervento fruttifero, Ceresa ha portato a passeggio la sfera di cuoio per tutta l’area di rigore. Il regolamento parla chiaro, in proposito; e Casati s’è trovato costretto a dare fiato al proprio fischietto concedendo alla Roma, dentro l’area fatale, uno di quei «calci di seconda» che alcuni anni fa erano assai più frequenti di oggi, in una partita di calcio. D’Alberto ha graziosamente sfiorato il pallone porgendolo a Bernardini che ha cercato di districarsi e saettare. Ne è nata una mischia tale che nessun spettatore ha potuto capirci più nulla, fino all’istante in cui s’è vista la palla rotolare in rete. Dal fatto che tutti i giallorossi si precipitavano sul loro mediocentro, abbracciandolo, s’è arguito, a buona ragione, che Bernardini era l’autore del punto. Va segnalato inoltre, per giustizia di cronaca, che Fusco ha «bollato» un palo all’inizio della partita ed un altro alla fine; e quest’ultimo addirittura sulla faccia interna. L’Alessandria può non essere soddisfatta del risultato, ad incontro avvenuto; ma certo, se l’1 a 0 fosse stato proposto prima dell’inizio, tutti i grigi ci avrebbero messo la firma. D’altronde il «largo ai giovani» che ha preceduto la venuta a Roma degli alessandrini sembra possa dare buoni frutti. La giovane squadra gioca stilisticamente male (ah, questo sì!), ma la difesa pare solidissima (almeno a giudicare dall’esibizione odierna) e la mediana può essere catalogata fra le «dure a morire». È l’attacco, invece, che manca. Stürmer non ha più bisogno di manipolare oltre nel sestetto arretrato; ma per la linea attaccante dovrà incominciare daccapo. Nella ripresa, a gioco iniziato, Tomasi e D’Alberto si sono cambiati di posto. Poi D’Alberto si è contuso ed ha dovuto sostare alcuni minuti fuori del rettangolo. Anche nell’Alessandria si è verificata una variazione per inversione di ruolo fra Coscia e Casalino. (Giuseppe Sabelli Fioretti, «La Gazzetta dello Sport», 5 ottobre 1936) Dalla Roma c’era da aspettarsi qualcosa di più di questo stentato e faticoso successo conquistato di forza e di autorità contro una squadra che oltre alle doti della gioventù, dell’entusiasmo e della tenacia non ha altri titoli di maggiore consistenza da opporre alle unità di grande rinomanza e di conosciuta classe. La lunga pressione, gli assalti pressoché costanti e a volte furiosi che i giallorossi hanno portato alla rete di Ceresa nel corso dei due tempi se da un lato rendono legittimo il successo della compagine romana non devono far pensare che la vittoria sia stata costretta dal caso a proporzioni così ridotte. È apparso anzi ben chiaro dopo appena una mezz’ora di gioco che sarebbe stato vano attendersi la consacrazione della superiorità giallorossa da una mischia provocata da un calcio di punizione attraverso la quale il pallone calciato da Bernardini ha trovato un corridoio libero fino all’angolo destro della rete alessandrina. L’Alessandria è una squadra giovane, che ha tuttavia superato le generali aspettative per la sua fiera combattività, per la freschezza, la mobilità, lo spirito di abnegazione dei suoi atleti. La prontezza delle controffensive alessandrine in risposta alla insistente pressione giallorossa ha movimentato il primo tempo, che è stato il più interessante come tecnica e come spettacolo. La Roma ha avuto quasi sempre l’iniziativa, ma non ha mai dato l’impressione di poter travolgere con le sue manovre la difesa avversaria. Questa superiorità di pressione, che non portava a risultati degni di nota e non riusciva nemmeno ad impegnare seriamente il portiere grigio, si concretava per altro in una lunga serie di calci d’angolo. L’Alessandria cambiava tattica nella ripresa. Si schierava a copertura delle retrovie e badava soltanto ad allontanare la minaccia avversaria senza cercare di dare una linea tattica al suo lavoro di distruzione. La Roma ne approfittava per assediare letteralmente in area l’avversaria e per lanciare le sue pattuglie di avanguardia in una serie interminabile di furiosi attacchi. I calci d’angolo si seguivano senza fine e si moltiplicavano. Al 26’ Ceresa bloccava un pallone e percorreva quasi tutta l’area di rigore senza lasciare la presa. L’arbitro decretava la punizione di seconda classe che accendeva sotto la rete alessandrina una furiosa e confusa mischia. Dal groviglio di uomini partiva ad un tratto un pallone calciato da Bernardini che, infilato un corridoio miracolosamente sgombro, sorprendeva il portiere coperto e si infilava nell’angolo destro. Verso la fine per poco l’Alessandria non pareggiava, ma Masetti deviava in angolo un tiro di Robotti e la minaccia svaniva. («Il Piccolo» di Genova, 5 ottobre 1936) I GRIGI DEVONO TORNARE ALLA VITTORIA Domani, alle ore 15 la Jnventus al Campo del Littorio Domani sul Campo del Littorio i bianco-neri della Juventus saranno ospiti della squadra alessandrina. E’ notorio che i grigi dopo quattro partite di campionato si trovano con uno zero nella casella dei punti e all'ultimo posto nella graduatoria della classifica. L’Alessandria non si è mai trovata ad aver bisogno di raggranellare punti come nel momento odierno; è quindi facile intuire con quanto slancio la rinnovata compagine alessandrina, confermatasi sul difficile campo romano, affronterà la forte Juventus. Gli ex campioni d'Italia hanno ceduto domenica scorsa a Torino contro i granata mettendo in evidenza la fragilità dei reparti nei confronti di quella Juventus degli anni scorsi, salda nella retroguardia e superba nel gioco offensivo. La squadra di Monti, conscia delle proprie debolezze, sta applicando la tattica di gara di molti anni fa, quando si accartocciava in difesa per strappare il risultato a suo favore con le fughe isolate di Hirtzer, la «gazzella». Attualmente i bianco-neri si rendono minacciosi all'attacco con le puntate saettanti di Gabetto o lavorano prevalentemente in difesa, con Monti all'altezza dei terzini. Contro la Juventus l’Alessandria potrà giocare tecnicamente come contro il Bologna e se il terreno sarà pesante, come è facile prevedere, i grigi dovrebbero raggiungere la loro prima vittoria anche se l’avversario è di una classe superiore. I punti in casa sono di estrema necessità agli alessandrini di fronte a qualunque squadra. La volontà deve sopperire alle manchevolezze che affiorano nei vari reparti, il pubblico deve incoraggiare continuamente la compagine grigia senza sottilizzare su un rimando errato o su un tiro difettoso. L’Alessandria di oggi non è una grande squadra, essa lotta disperatamente per non naufragare, occorre quindi concedere ad essa la possibilità di trarre incitamento e forza m orale dalla passione del p ro p rio pubblico. (Il Piccolo, 10/10/1936) ROMA-ALESSANDRIA 4-0 Si poteva anche finire 0 a 0 e neanche i più accesi romanisti avrebbero potuto trovare ingiusto il risultato. E così sarebbe stato se l’arbitro non avesse inflitto all’Alessandria al 27’ della ripresa una punizione a due calci in area di rigore per un banale fallo del portiere Ceresa che tratteneva la palla più di quanto consente il regolamento. Su tale punizione o, meglio, sulla conseguente confusione che veniva a crearsi in area alessandrina, la Roma poteva cogliere il suo punto per merito di Bernardini, che nel groviglio trovava lo spiraglio necessario per battere lo sfortunato Ceresa. Della Roma buona la difesa e salda la mediana, ma assolutamente privo di mordente l’attacco. Dell’Alessandria ottima in senso assoluto la difesa che ha neutralizzato le poche scorribande avversarie, non tutte prive di pericolosità. Giuntoli, esordiente nel ruolo di centrosostegno è sembrato a corto di fiato. Da notare che l’attacco mancava di Celoria. («La Stampa», 5 ottobre 1936) RISULTATI: Bologna-Lazio 1-1 Fiorentina-Bari 1-0 Genova 1893-Sampierdarenese 1-1 Juventus-Torino 0-1 Milan-Ambrosiana 1-1 Novara-Lucchese 1-2 Triestina-Napoli 1-1 CLASSIFICA: Bologna, Genova 1893, Torino 6; Fiorentina, Lazio, Lucchese, Roma 5; Bari, Juventus, Milan, Sampierdarenese 4; Ambrosiana, Napoli, Triestina 3; Novara 2; Alessandria 0 MARCATORI 4 gol: Capra (Milan), Meazza (Ambrosiana), Pantani (Genova), Piola S. (Lazio), Romano (Novara) 2 gol: Busidoni (Triestina), Dibenedetti (Roma), Gabetto (Juventus), Gobbi (Genova), Rizzotti (Novara), Silano (Torino), Stella (Fiorentina), Violi (Bari) Il punto sul campionato Note in margine al Campionato L'esperimento dei giovani (Chi se ne duole e chi ne è lieto) E' stata, la quarta, una gran giornata del massimo torneo nazionale. Lotte ardenti caratterizzate da punteggi minimi, folle enormi sui campi di pressoché tutte le gare, situazioni nuove nella classifica. Il campionato interessa. Ricordiamo di aver detto pochi giorni avanti l'inizio della competizione che l'innesto in grande stile di forze nuove, di elementi giovani nei ranghi delle maggiori squadre, avrebbe tonificato il torneo ed offerto motivi nuovi, motivi appassionanti alla gran massa degli spettatori. Cosi è stato. L'esperimento ha sortito l'effetto voluto. Non tutte le unità possono dichiararsi liete dello svecchiamento operato, che, se non sono stati pochi i ragazzi i quali si sono affermati, parecchi sono rimasti sul livello della mediocrità, causando le più amare delusioni a guanti avevano sperato ed avuto fiducia in essi, ma è umano che un movimento di rinnovamento operato su vasta scala dia risultati solo parzialmente e non totalmente confortevoli. Vedere del nuovo La folla si interessa a questo torneo non solo perchè ha del nuovo da vedere, ma anche perchè ha la possibilità di far confronti, di giudicare, di criticare, di approvare o di biasimare. I campioni della vecchia guardia, i Libonatti, gli Schiavio, i Levratto, gli Orsi, gli Janni, i Caligaris, i Gianni e cento altri, sono ben ricordati dagli sportivi i quali sono ora tutt'occhi per vedere quanto valgano, nel confronto, i ragazzi della nuova leva, i Busani, i Milano, i Brunella, gli Allusio, i Ferrini, i Gallea, i Cassio, i Gabetto, i Bava, i Locatellì, i Frossi, i Mian, i Busidoni e quanti altri hanno preso i posti lasciati vacanti dagli «assi» al tramonto. Si discute. Il «tifoso» nero azzurro non può essere soddisfatto del rendimento dei nuovi, Non tutti hanno classe, non tutti intraprendenza e volontà di emergere. Ne consegue che l'Ambrosiana, proprio quando ha creduto di far bene nel rimettersi sulla via da altri tracciata, ha fatto un gran tonfo, è piombata nel disordine ed è incappata in una serie di risultati sfavorevoli. Forse non c'è accordo fra i «nuovi» ed i «vecchi», forse anche c'è stridore fra il giuoco degli uni e quello degli altri. Una squadra di calcio non la si improvvisa e non la si fa funzionare unendo un campione ad una speranza, un tecnico ad un impetuoso. Sulla carta la costruzione regge, nel campo crolla. Allora, poiché la folla ha le sue esigenze ed urla e condanna, poiché l'allenatore deve guardare ai risultati immediati, poiché i dirigenti hanno l'occhio fisso sulla classifica e sul registro degli incassi e si preoccupano che peggiorando la prima si immiseriscano anche i secondi, si va avanti per tentativi, con soluzioni momentanee. Il giuocatore che ha fallito la prova oggi è scartato per quella di domani. Il ragazzo che avrebbe bisogno di consigli è soffocato dai rimbrotti. Passa dalla prima squadra a quella delle riserve, ove ha compagni ed avversari di valore assolutamente diverso. Così succede spesso che il giovane perda il suo fresco entusiasmo e si adatti a situazioni di ripiego. Cento esempi si potrebbero portare a sostegno di queste asserzioni ma possono bastare quelli di Ferrini e dì Fiorini, giovani il cui valore era già notevole alcuni anni fa, ma che, chiusi da titolari quali Monzeglio e Zaccotti, e non fortunati nelle saltuarie apparizioni fatte in prima squadra, dovettero vivacchiare a lungo in unità minori avanti di essere ripresi in considerazione e di vedere riconosciute le loro possibilità affermatesi poi nel corso di una sola stagione. Il discorso non riguarda, come si pud ben comprendere, solamente l'Ambrosiana. Anche la Juventus ha guai e crucci del genere. Neri e Due, che erano grandi speranze due mesi or sono, adesso vengono bollati col timbro della mediocrità. Barberi» è forse destinato a scomparire dalla scena come elemento di primo piano. Scagliotti fa rimpiangere i quattrini spesi per il suo ingaggio. Dopo aver avuto una squadra di autentici colossi, la Juventus ha dovuto rinnovarsi. E' rimasta forte sino a quando le sostituzioni non hanno toccato i punti vitali dell'unità, poi ha creduto di reggere egualmente mutando interi settori. E' caduta in crisi. Non c'è da illudersi. Il processo di rinnovamento sarà lungo e difficile. Le difficoltà da superare sono molte. Ora come non mai il sodalizio deve opporsi allo sconforto dilagante, deve ribellarsi alla rinuncia. La Juventus ha sempre saputo lavorare con serietà. Gli anni di trionfi non devono avere annebbiata questa dote dei dirigenti ed all'opera di ricostruzione essi devono dedicarsi con la tenacia dei forti. Bisogna guardare in alto, dove s'era ancora ieri, e risalire. Con metodo, con stile, con volontà. La bandiera A chi altri danno grattacapi i giovani? Alla Roma, ancora incerta all'attacco. All'Alessandria che non ha anziani che completino 0 guidino i ragazzi di fresca promozione. Al Novara, esuberante ma inesperto. Ci son elementi di valore fra i «nuovi» di queste unità, ma essi hanno bisogno di temprarsi al fuoco del campionato, di affinare le loro doti, di migliorare. Ci vorranno mesi, anni, forse. Ma non è occorso tanto anche alle squadre che ora sono ben liete di valersi dell'opera dei giovani. Non è stato lungo e faticoso il tirocinio della Triestina per molte stagioni costretta a vendere ed a rimpiazzare i suoi migliori? E quanto profonda non è stata la crisi dei «granata». Dallo squadrone campione il Torino scese sino allo sbandato gruppo di uomini che lo portarono sull'orlo della retrocessione. Poi puntò i piedi. Via i grandi nomi e largo ai ragazzi. Via i calciatori di importazione e largo a quanti eran cresciuti nelle formazioni di allievi. Otto degli undici titolari si comprendono in dialetto ed hanno avuto in maglia granata la prima notorietà. Lavorano come amici, non come professionisti sempre in tema di perdere il posto. La folla li ama, ma essi non si ubriacano con i fumi della gloria sportiva. Chi lihai visti esultare domenica per la vittoria, da tanti anni desista, chi li ha visti abbracciare riconoscenti quell'allenatore che sta migliorando ancora le loro doti, serrarsi festosi attorno al loro presidente che li sa guidare con tatto e cordialità, ha provato simpatia per questo gruppo di giovani cui a buon diritto arride il successo. Ma non bisogna guardare il Torino senza ricordare le vicissitudini attraverso alle quali è maturata l'ascesa. Si, il Torino è l'esempio da seguire. E' bello lavorare con elementi plasmabili, ma bisogna che il programma sia uno ed indefettibile. Guai a chi osa e non osa, tenta e si pente, spera e rimpiange. Le difficoltà, per esse re superate, vanno affrontate con cuore saldo. Il Torino è una bandiera. E' il vessillo dei giovani. Altri drappi, in bianco nero, in nero azzurro, in rosso bleu, in giallo rosso noi contiamo veder presto, per le maggiori fortune del calcio nazionale, garrire a lato di quello che i «granata» tanno spiegato e che il sole della vittoria bacia. (La Stampa - Luigi Cavaliere, 06/10/1936)